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Sperimentazione animale?
Adalo ha scritto: Secondo me è proprio questo uno dei problemi più grossi dell’Italia, persone che aprono bocca per parlare di argomenti che non conoscono, che non sono inclusi nel loro ambito di studi.
L'epistemologia è quella branca della filosofia che si occupa delle condizioni sotto le quali si può avere conoscenza scientifica e dei metodi per raggiungere tale conoscenza, come suggerisce peraltro l'etimologia del termine, il quale deriva dall'unione delle parole greche episteme ("conoscenza certa", ossia "scienza") e logos (discorso). In un'accezione più ristretta l'epistemologia può essere identificata con la filosofia della scienza, la disciplina che si occupa dei fondamenti delle diverse discipline scientifiche.
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Mortui Vivos Docent
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ora, io sono consapevole che la sperimentazione animale dia comunque delle informazioni importanti per il progresso della conoscenza medica, ma non possiamo dimenticare che partiamo da un modello di riferimento non perfettamente congruo, pertanto da un punto di vista metodologico sarà importante sviluppare degli approcci che si avvicinino maggiormente al nostro target di studio.
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Semplicemente stiamo usando il modello più vicino possibile all'uomo. Non possiamo usare l'uomo per ovvie ragioni, quindi utilizziamo dei mammiferi (ma anche zebrafish, rospi) per poter provare dei prodotti della ricerca che sarebbe sconsiderato provare direttamente sull'uomo.
Non dimentichiamo che ciò che sappiamo ad esempio sulle vie della sensibilità visiva le dobbiamo a studi sui gatti. Siamo ben consci che il gatto sia diverso dall'uomo, ma di certo non è del tutto diverso e, ciò che apprendiamo, ci è d'aiuto per avvicinarci ad una conoscenza migliore delle nostre strutture. Nessuno sostiene che l'animale sia migliore dell'uomo per provare cose destinate all'uomo, mica siamo cerebrolesi, stiamo semplicemente dicendo che in mancanza di un modello migliore di certo l'animale può costituire una validissima alternativa. Tant'è che ciò che si è fatto finora è grazie alla sperimentazione animale (considerando anche zebrafish e animali che gli animalisti sembrano non considerare...se uno fa l'animalista convinto allora deve avere lo stesso rispetto per zebrafish come dei gatti se no è un ciarlatano).
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Circa il 50% delle malattie genetiche dell'uomo ha un suo corrispondente murino, molte tecniche chirurgiche che funzionano sull'uomo sono state ideate su cani e maiali, i processi visivi e motori li conosciamo grazie agli studi sui gatti, il funzionamento di alcune aree del cervello e del cervelletto è stato studiato a partire da lesioni sugli scimpanzé, la nostra organogenesi non è poi così diversa da quella del moscerino della frutta, molte vie metaboliche perossisomiali sono conservate in diverse specie e molto altro ancora...andrè_boh ha scritto: la questione è: stiamo utilizzando degli animali come modello di malattie umane, ma siamo sicuri che gli animali possano essere veramente un modello? siamo sicuri che gli animali funzionano come l'uomo?
Non saranno modelli perfetti al 100% ma ogni ambito di ricerca ha il suo modello che si avvicina il più possibile al corrispettivo umano (o quello che pensiamo essere il corrispettivo umano).
Nella ricerca si tiene conto di queste differenze. Un bambino è un uomo immaturo ed i suoi problemi farmacologici sono legati ad una incompleta maturazione delle vie metaboliche dei farmaci (soprattutto epatiche). L'anziano è un uomo che non funziona molto bene ed i suoi problemi farmacologici sono legati soprattutto ad insufficienza renale. In entrambe le situazioni, però, abbiamo gli elementi per dosare i farmaci anche in queste categorie (ad esempio basandoci sul peso corporeo, volume di distribuzione e funzionalità renale ed epatica). Uomini e donne sono diversi ma sono diversi anche i topolini maschi e quelli femmina. Dando ad un topolino maschio gli ormoni della femmina si riescono ad ottenere molti effetti metabolici presenti nella femmina ma non nel maschio (e vice versa).andrè_boh ha scritto: risposta è ovviamente no! la sperimentazione animale ha le sue criticità, e queste criticità hanno fondamento nel fatto che gli animali sono altra cosa rispetto all'uomo; d'altra parte chi ha fatto farmacologia sa benissimo che i bambini non sono piccoli uomini, ma funzionano con le loro regole, allo stesso modo i vecchi, così come gli uomini sono diversi dalle donne, i caucasici dalla razza nera e così via, quindi potete immaginare quanto un topo sia diverso da un uomo.
Le differenze tra le etnie sono presenti e le indagini di farmacogenetica e farmacogenomica stanno facendo luce anche su questo: i fast-metabolizer e gli slow-metabolizer sono presenti sia tra gli umani che tra gli animali da laboratorio e di questo se ne tiene conto.
Insomma dire che sono diversi è vero ma da qui a dire che non abbiamo i mezzi per fare previsioni ad alta probabilità di essere vere c'è un abisso.
Vero, ma se non ci sono proposte concrete si discute solo di aria fritta.andrè_boh ha scritto: non possiamo dimenticare che partiamo da un modello di riferimento non perfettamente congruo, pertanto da un punto di vista metodologico sarà importante sviluppare degli approcci che si avvicinino maggiormente al nostro target di studio.
Io, ad esempio, sono molto fiducioso sullo studio del DNA e delle simulazioni al computer che ne derivano (la forma di alcuni recettori è stata calcolata al computer a partire dalla sequenza codificante, alcune interazioni farmaco-recettore sono simulabili al computer, ecc.) ma da questo ad un modello matematico dell'essere umano c'è una distanza inimmaginabile.
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