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Un altro modo di esprimere se stessi....l'arte

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15 Anni 1 Mese fa #184074 da Swan
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[Questo è uno dei dipinti più affascinanti che io abbia mai visto, vi posto anche il mio commento, anzi, in realtà è una relazione che ho dovuto consegnare un mese fa, magari a qualcuno va di leggerla, altrimenti fermatevi semplicemente ad osservare la bellezza di quest'opera di Friedrich].



“Viandante sul mare di nebbia” può essere considerato il manifesto del movimento romantico; in esso, infatti, sono riassunti i punti cardine del Romanticismo quali la tendenza al sublime e la percezione di una natura potente ed incontrastata.
La posizione centrale del dipinto è occupata da un uomo, viandante solitario, che si staglia in tutta la sua minuta misura contro il paesaggio che ha di fronte.
Inizialmente, si coglie la sproporzione fra la limitatezza della dimensione umana e la vastità della natura; poi ci si sofferma sulle rocce che l’autore, Friedrich, ha enfatizzato con un colore molto scuro, unica fonte di tetraggine in quest’opera dipinta con colori chiari e tenui.
Ad un primo impatto, ho avuto l’impressione che quest’uomo, arrivato sino in cima alle rocce, si sia improvvisamente trovato di fronte alla verità, la verità di cui tratta Simone Weil, la verità che si riesce a cogliere solo un attimo prima della fine, la verità che ci lascia senza fiato e che tuttavia non ci svela completamente il mistero che la avvolge.
Le rocce sembrano rappresentare il punto culminante di un lungo percorso compiuto dal viandante, che ora si erge contro quel “soffocante” paesaggio e sembra essere rimasto quasi a metà del suo atto, sorpreso da tanta bellezza (il piede sinistro, infatti, è avanzato rispetto a quello destro, questo dà una sensazione di incompiutezza dell’azione).
La limitatezza dell’uomo ci è manifesta grazie a due elementi: il mistero della natura e il sublime della stessa.
Il paesaggio innanzi all’uomo è assalito da una nebbia che proviene dal basso.
Essa sembra quasi essere un vapore che la terra sprigiona dal suo grembo e tutto ciò rievoca l’atmosfera primordiale dell’universo.
La nebbia, inoltre, è l’elemento fondamentale del dipinto, è la peculiarità che rende l’opera “romantica”.
Essa, infatti, può essere paragonata alla siepe dell’ “Infinito” di Leopardi, costituisce un ostacolo alla vista e copre ogni vana speranza dell’uomo di arrivare dall’altra parte della scogliera; per contro, però, questo fa sì che l’uomo pur con un tale impedimento, possa dare sfogo all’immaginazione e trovare un’attenuante ad una vita inappagante.
La nebbia, poi, sembra ricreare una sorta di paradiso, un universo trascendente al quale quest’uomo fa capolino ed al quale ha avuto la prerogativa di approdare, senza tuttavia poter mai accedervi.
Anche la posizione di spalle dell’uomo può essere ritenuta un elemento, oltre che innovativo, legato all’alone di mistero di fronte al quale si trova il viandante.
Essendo di spalle, infatti, l’uomo dà la sensazione di voler celare il suo vero essere e a noi, non potendo osservare il volto, non è concesso cogliere l’espressione dipinta sul viso e percepire così l’uomo in tutta la sua nudità di fronte ad una tale grandezza.
E’ proprio questa tragica grandezza ed incomprensibilità che fa trasparire il sublime della natura; sublime che già Kant aveva tratta in filosofia come ciò che è informe e che implica la rappresentazione dell’illimitato, ciò che attrae l’uomo suscitando in lui un profondo sentimento di stima e meraviglia, ciò che commuove nella sua quieta contemplazione.
L’uomo romantico tende al sublime e Friedrich esplicita questo atteggiamento mediante il moto di slancio del protagonista verso l’orizzonte, espresso dalla  conformazione piramidale delle rocce.

Ciò che inoltre si può notare è l’eroica solitudine dell’uomo: nessun accenno di vegetazione, dalla nebbia emergono soltanto delle nere rocce che esprimono un senso di ostilità ed inospitalità.
Il sentimento che quest’opera mi comunica è di angoscia ed inquietudine sia grazie alla nebbia che invade il paesaggio, sia per la sconfinatezza della vista, infinito paragonabile allo stesso Dio a cui l’uomo tende e che non può tuttavia essere sondato con mezzi umani.

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15 Anni 1 Settimana fa #184874 da
ecco il blog di una ragazza roro', con cui avevo avuto un piccolo scontro....
è una fotografa molto particolare

etisalutomalinconia.blogspot.com/

sotto la dura crosta..si nascondono..tesori

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14 Anni 10 Mesi fa #187644 da coccinella
Jeunes filles au piano  Pierre-Auguste Renoir


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Nel 1892 Renoir, all'apice della sua carriera artistica, si trova ospite di Berthe Morisot e suo marito. Naturalmente l'artista in quell'occasione non resistette alla tentazione di realizzare alcune composizioni con la loro  bellissima figlia Julie come modella. In questo dipinto Renoir riesce a creare una densa intimità, soprattutto con il delicato e morbido cromatismo delle due graziose figure in primo piano, che, nonostante uno sfondo abbastanza netto e dettagliato, sembrano staccarsi dalla tela.

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14 Anni 8 Mesi fa #190339 da
Camille nasce a Villeneuve-sur Fère l'8 dicembre 1864 e comincia a modellare le sue prime figure in terracotta nella seconda metà degli anni Settanta. Nel 1881 si trasferisce a Parigi con la famiglia (madre anaffettiva, padre rigido, fratelli che la ignorano perchè la giudicano "strana"). Nel 1883 incontra lo scultore Auguste Rodin, che i francesi paragonano a Michelangelo. Lui ha 24 anni più di Camille, le dà lezioni e, l'anno dopo, quando la fanciulla ha vent'anni, la ammette al suo atelier. Camille e Auguste diventano amanti e iniziano un rapporto burrascoso (lui ha un'altra donna che non lascerà mai e un figlio). Compiono viaggi assieme in varie regioni della Francia e aprono uno studio comune in 68, boulevard d'Italie.

Nel 1888 Camille incontra Claude Debussy con cui ha una breve relazione e l'anno successivo il rapporto con Rodin, sempre più tormentato, s'interrompe. La fine della relazione, durata dodici scandalosi anni (1881-1893), la porta alla follia. Quando lo stato di Camille si aggrava, il fratello Paul - diplomatico, poeta e drammaturgo cattolico - la fa ricoverare in un manicomio dove l'artista resta fino alla morte. La mostra presenta anche le opere che Camille realizza nei lunghi anni di internamento. La scultrice decede il 19 ottobre 1943, 26 anni dopo Auguste Rodin.

La sua straordinaria opera rimane a lungo oscurata, nonostante già nel 1951 si tenga al Museo Rodin una sua mostra. È con l'esposizione del 1984 che l'interesse attorno all'opera e alla figura dal destino tragico di Camille cresce: vengono pubblicati vari libri e nello stesso anno viene girato un film tratto dal testo "Camille Claudel" di Reine-Marie Paris (regia di Bruno Nuytten, interpreti Isabelle Adjani e Gérard Depardieu). Camille esce dallo stereotipo dell'allieva talentuosa all'ombra del grande maestro e diventa la scultrice capace di instillare nelle sue opere una sensibilità acutissima e un linguaggio dalle forme di assoluta modernità.

da universitadelledonne.it


(...)

Un'altra forma di pazzia avvolge la creatività della scultrice Camille Claudel, sorella del pittore Paul e allieva e poi amante di Auguste Rodin. L'ambizione della ragazza che sbarca a Parigi per studiare scultura e dichiara a chiare lettere a chi l'accusa di plagiare l'opera di Rodin, “Io traggo le mie opere esclusivamente da me stessa, avendo fin troppe idee anziché non abbastanza”21 , si infrange , dopo la fine del rapporto con lo scultore, di fronte alle difficoltà materiali della vita, la povertà, l'incomprensione del mondo, l'impossibilità di essere presa sul serio in un ambiente artistico dove il genio femminile viene ripetutamente censurato. Già le sculture di Clotho , la Parca che srotola il filo (1893) e L'implorante (la donna inginocchiata che si protende invano verso un dio allontanatosi) disegnano un rapporto con il destino beffardo o incomprensibile .Ma è nel suo capolavoro del Perseo e Medusa che trova nel paradigma del mito un abito da indossare alla perfezione. Lei, che già critici malevoli definivano mostro , anzi monstrum, latinamente, una rivolta della natura, bella oltre misura nei cangianti occhi blu-viola-verdi, ma ingestibile e proterva, assume consciamente di identificarsi con Lei , l'essere fuori del controllo umano, e denuncia, assumendone le fattezze nella testa impugnata da un virile e freddo Perseo bellissimo e tetro, la sua propria uccisione. Da parte di chi? Chi impersona l'algido esecutore, o cosa?

L'esecutore è maschile; quindi trovano buon gioco le interpretazioni: Perseo è Rodin, incapace di fondere amore ed arte come lei pretendeva. Oppure: Perseo è la società patriarcale e maschilista, che non prevede uno spazio possibile per una donna di genio ed indipendente; od anche : è la famiglia che rinchiude infine per trent'anni Camille in manicomio, distruggendo la donna e l'artista e riducendola a larva umana.

Eppure Perseo è solo colui che rivolge lo specchio verso la testa, non trafigge con lame od altri strumenti agìti da lui stesso; ad uccidere Medusa è Medusa stessa, o meglio, la propria immagine riflessa. L'immagine è l'assassina di Camille, cioè l'arte del riflettere, di riprodurre; l'arte figurativa, quindi, fuor di metafora. Camille lo aveva già capito quando nella sua follia di distruggere le proprie opere, a partire dal 1906, di sparire a periodi senza lasciare recapito, fuggiva dal proprio genio, foriero per lei di rovina e distruzione. Ciò che essa supremamente ama, la scultura, deve anche ucciderla; non così nell'altra testa medusica famosa nell'arte, quella di Michelangelo Merisi, cui accadde che fu piuttosto la vita a perseguitarne l'arte, impersonata dal giovane e accigliato eroe che con ribrezzo allontana la gorgonica testa del pittore irredento e perseguito dalla giustizia.

...  per Camille l'arte divenne persecuzione ed ossessione, fino al suicidio-omicidio del manicomio.

  Gabriella Freccero. Recensione L'ordine simbolico della Gorgone. Letizia Lanza agli inferi.

da donneconoscenzastorica.it
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Perseo e Medusa
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L'implorante
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Abandon

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14 Anni 8 Mesi fa #191472 da


zdzislaw beksinski sulle note di schubert

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14 Anni 7 Mesi fa #194260 da coccinella
“Contes barbares” (“Racconti barbari”)
(1902);
Essen,
Museum Folkwang


Gauguin passa gli ultimi anni della sua vita all’isola La Dominica, nell’arcipelago delle Marchesi, dove vive in sintonia con gli indigeni del posto.
Da questo soggiorno nasce, tra le altre opere, “Contes barbares” (1902), in cui al motivo standard degli indigeni pacificamente seduti si accompagna la figura di un europeo, il poeta Meyer de Haan, amico parigino di Gauguin, che si insinua tra la tranquilla scena della coppia e l’elemento della foresta vergine dello sfondo. Pensieroso, l’intellettuale osserva la bellezza primitiva delle due fanciulle e sembra voler dire che è impossibile capire pienamente la loro vita, loro stessi e il loro  mondo. Cosciente della  distanza esistente tra lui e gli uomini che egli ammirava tanto, Gauguin si riconosce nella figura del suo amico poeta. Il desiderio di diventare lui stesso primitivo è rimasto inappagato. Questo quadro è così un quadro testamento più di quanto non lo sia il quadro “Donde veniamo?”, dove il pittore si comporta come se le differenze tra culture possano venir superate mediante il semplice concetto di “vita” e del suo mistero che riguarda tutta l’umanità.
Gauguin fu insomma un missionario al contrario, dato che voleva farsi convertire, ma alla fine, però, rimase impigliato nel suo mondo, odiato e contestato, ma di cui al contempo bramava in modo controverso l’approvazione.

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