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Medicina interna
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- alcianblue
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inoltre, mi chiedo, è significativamente diversa dalla precedente (molti degli autori mi sembrano diversi); avendo già il pdf della quinta edizione conviene secondo voi comprare la sesta?
infine: chi ha avuto modo di confrontare la parte di gastroenterologia del Rugarli con l'Unigastro? quale è fatto meglio?
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anche per si appresta il momento di iniziare il IV e, con questo, il triennio clinico. Mi trovo come tutti a dover scegliere il/i testi per le cliniche.
Di comprare per ogni clinica un testo specialistico non se ne parla (vista la spesa e l'inutilità di una simile scelta) e dunque mi ritrovo a dover scegliere tra Harrison e Rugarli. Da quello che ho desunto leggendo i post passati riguardo alle caratteristiche di questi due testi posso fare una sintesi:
Rugarli----> chiaro, discorsivo, molto didattico, ricco di richiami di fisiopatologia;
Harrison----> completo, dettagliato, trattata bene anche la terapia, è il Testo di riferimento per il clinico, ma è poco didattico e dispersivo, dunque pesante da studiare.
Sono decisamente più propenso per il secondo, anche solo guardare l'indice in pdf dei due libri mi ha orientato verso questa scelta, ma permangono dei dubbi:
1)è uscita la 18th edizione in inglese, che, pur costando meno della 17th in italiano... è in inglese. Io so leggere l'inglese, ma comunque penso che quello che dovrà essere il mio testo di studio e riferimento debba essere necessariamente in italiano, per una questione di immediatezza e fruibilità. Detto questo, mi conviene comprare la 17th in ita nonostante sia appena uscita le 18th in eng? Mi dicono che la traduzione in ita sia pessima... è poi così insopportabile oppure si può leggere tranquillamente'
2)alcuni mi dicono che si tratta di un investimento precoce e anche un po' inutile adducendo come motivazione che è un testo troppo difficile per lo studente che inizia lo studio della materia e che molti che l'hanno comprato l'hanno tenuto a prendere polvere fino a dopo la laurea (quando, si spera, l'abbiano aperto...). Eppure facendo due conti: al primo semestre dovrei dare cardio, pneumo e nefro. Facendo il computo delle pagine dedicate agli argomenti (esclusa la parte del primo libro dedicato alla semeiotica, lì per riferimento ho il Fradà su cui ho studiato per l'esame) non si arriva a 400 pagine. Per quanto possano essere dense di informazioni e scritte in piccolo non mi sembra un carico di studio eclatante!! Sbaglio nella mia approssimazione? é davvero così difficile improntare il primo studio di queste materie sull'Harrison?
Spero che qualcuno dirima i miei dubbi! Un saluto
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Allora, ovviamente non ho letto l'originale in Inglese, per cui non posso dire se la traduzione sia "perfetta" dal punto di vista della fedeltà all'originale.Detto questo, mi conviene comprare la 17th in ita nonostante sia appena uscita le 18th in eng? Mi dicono che la traduzione in ita sia pessima... è poi così insopportabile oppure si può leggere tranquillamente'
Dal punto di vista della fruibilità, invece, va piuttosto bene (almeno per i miei gusti). Non è come leggere le "Avventure dei paperi", ma tre anni (o più) di studio sui testi universitari penso che costituiscano una buona palestra per usufruire in maniera adeguata dei contenuti.
Guarda, secondo me qua ci sarebbe da fare un discorso più profondo sulla struttura dei corsi di Medicina in Italia. A mio parere, quando si parla del fatto che dopo sei anni "non si sa fare niente", si accentua troppo il discorso sulle attività pratiche (problematica, quella della mancanza di "manualità", che comunque esiste).alcuni mi dicono che si tratta di un investimento precoce e anche un po' inutile adducendo come motivazione che è un testo troppo difficile per lo studente che inizia lo studio della materia e che molti che l'hanno comprato l'hanno tenuto a prendere polvere fino a dopo la laurea
Secondo me, invece, il problema è che anche nello studio delle singole materie si ha una visione troppo scolastica: classificazioni, fisiopatologia, eziopatogenesi (in ordine sparso), ecc. Poi magari per certi corsi bastano le trascrizioni delle lezioni del prof (le famose sbobinature), ci si arrangia un po' e la si sfanga.
Però poi le lacune emergono, e non sono legate al fatto che non si sa fare la puntura (che non sto dicendo che vada bene, ma solo che forse è il problema minore), ma al fatto che si ha molta difficoltà nell'impostare un ragionamento diagnostico e terapeutico. Per me un libro come l'Harrison aiuta da questo punto di vista, ma ovviamente, essendo anche io uno studente, potrò avere la "controprova" di quello che dico solo fra qualche anno.
Secondo me non più di quanto lo sia impostarlo su un altro manuale. Le basi non sono date per scontate, sono affrontate nel corso di tutto il testo (ovviamente con un'impostazione che privilegia le nozioni utili per la comprensione degli aspetti clinici dei vari argomenti).E' davvero così difficile improntare il primo studio di queste materie sull'Harrison?
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Questo era il parere positivo (e ragionato) che aspettavo per convincermi a fare questo acquisto decisivo e piuttosto massiccio in termini economici (ovviamente sono aperto a ogni altra altra eventuale opinione riguardo le questioni da me proposte...)
Guarda, secondo me qua ci sarebbe da fare un discorso più profondo sulla struttura dei corsi di Medicina in Italia. A mio parere, quando si parla del fatto che dopo sei anni "non si sa fare niente", si accentua troppo il discorso sulle attività pratiche (problematica, quella della mancanza di "manualità", che comunque esiste).alcuni mi dicono che si tratta di un investimento precoce e anche un po' inutile adducendo come motivazione che è un testo troppo difficile per lo studente che inizia lo studio della materia e che molti che l'hanno comprato l'hanno tenuto a prendere polvere fino a dopo la laurea
Secondo me, invece, il problema è che anche nello studio delle singole materie si ha una visione troppo scolastica: classificazioni, fisiopatologia, eziopatogenesi (in ordine sparso), ecc. Poi magari per certi corsi bastano le trascrizioni delle lezioni del prof (le famose sbobinature), ci si arrangia un po' e la si sfanga.
Però poi le lacune emergono, e non sono legate al fatto che non si sa fare la puntura (che non sto dicendo che vada bene, ma solo che forse è il problema minore), ma al fatto che si ha molta difficoltà nell'impostare un ragionamento diagnostico e terapeutico. Per me un libro come l'Harrison aiuta da questo punto di vista, ma ovviamente, essendo anche io uno studente, potrò avere la "controprova" di quello che dico solo fra qualche anno.
Su questo con me spalanchi una porta aperta: per farti un esempio, sono reduce da un esame di semeiotica che, pur essendo andato bene dal punto di vista del voto, mi ha lasciato davvero insoddisfatto per il modo con il quale si è svolto. Uno si aspetterebbe che i docenti, nell'esame che per eccellenza dovrebbe addestrare al ragionamento clinico, pongano per l'appunto problemi clinici. Invece ho dovuto semplicemente elencare una sfilza di sintomi, segni, manovre, test diagnostici, esami strumentali. Quando mi sono state chieste le emorragie digestive, volli iniziare il mio discorso esponendo il modo in cui, ad una prima osservazione, può apparire il paziente, ponendo l'accento anche sui modi subdoli e tutt'altro che immediati con i quali questa condizione può manifestarsi (traendo spunto da un caso che qualche mese fa propose il Becchino nel suo Tema). Quello invece mi ferma e mi chiede: come si dividono, quali sono le cause più frequenti, cos'è la melena, qual è l'esame d'elezione in paziente con melena, parlami dell'EGDS, perché la colonscopia non può essere fatta in sede di emergenza ecc. ecc. ecc. bla bla bla. Quindi si, non solo la "pratica" è carente nella nostra formazione, ma probabilmente, più incisivamente sulle competenze professionali, anche il modo di fare didattica sulla clinica in generale.
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